La parola « patriarcato » tradizionalmente designava la prevalenza storicamente incontestabile del significante « padre » nella struttura culturale. Oggi, il suo campo semantico ha virato dall’Altro verso l’Uno ; alla massima intensità, designa perciò una sostanza invisibile ma decisiva che, prima di ogni acconsentimento, infiltra abusivamente il soggetto.
Questi due approcci del patriarcato comportano ciascuno la loro versione di ciò che Éric Laurent chiamava « l’irriducibile del padre »[1]. Il patriarcato classico postula una trascendenza necessaria ad ogni cultura. Questa cultura sceglie un elemento – spesso il padre –, al posto di « mediatore » e di operatore antropologico a partire da cui le soggettività devono situarsi nelle strutture elementari. Mediatore, giacché sarebbe in ultimo luogo lo scorrimento e la diffusione di una sostanza religiosa che spinge l’evoluzione tanto umana quanto soggettiva, e questo fino alle nostre società apparentemente più secolarizzate. In effetti, la « precondizione » dello scambio intersoggettivo sarebbe lo scorrere top to bottom della libido divina che il padre traduce in eros sociale. Questa « permanenza del teleologico-politico », necessaria a causa de « l’impossibilità di una società a ordinarsi in una pura immanenza di sé »[2], sarebbe – Géraldine Muhlmann ne fa questa lettura – « il segreto dei filosofi »[3] : dietro l’Altro si ritrova, con il sembiante divino, capostipite e matrice, l’Uno.
A ben vedere, il patriarcato « diabolico » è solo il rovescio di questo patriarcato celeste.
In effetti, se il padre può declinarsi in una pluralità di versioni, queste convergono tutte su di una sostanza tossica la cui presa sul soggetto rileva di una père-version [p(at)erversione] Una e irriducibile.
Così promosso come chiave dell’infamia universale, questo « Uno » di un potere infine smascherato procura i conforti di un’ideologia laica di cui ciascuno potrà dichiararsi vittima.
Privandolo del doppio riferimento all’Altro e all’Uno, cosa apporta la psicoanalisi sul padre ? C’è una dimostrazione più eloquente del suo « segreto »[4] della clinica del padre ? Sempre troppo presente (Marie-Hélène Blancard) o non abbastanza (Élisabeth Marion), accusato di frenare il godimento o al contrario di scatenarlo (Arcali Teixido), cercando (Anne-Marie Thomas) o no di tenere il suo posto, non è sempre e fatalmente umiliato dal reale (Lucia Icardi, Emmanuel A. Rodriguez), e così ridotto a non essere altro che Nœudbodaddy ? Non un niente (Vanessa Mikowski), anzi, ma piuttosto ciò che può funzionare come uno dei nomi delle supplenze al buco che la psicoanalisi mette al centro dell’Altro. Lacan è arrivato fino a ridurre il suo compito a una sorta di performance ; lungi dal dover rappresentare o incarnare un potere, egli deve, mantenendo uno scarto tra simbolico, immaginario e reale, essere sufficientemente sorprendente da meritare il nome di padre. Il patriarca non sorprende più ; per i padri, uno per uno, c’è un avvenire.
Riferimenti bibliografici dell’autore:
[1] Cf. Laurent É., «L’irriducibile posto del padre», Nobodaddy, Blog Pipol 11, 26 febbraio 2023.
[2] Lefort C., Permanence du théologico-politique ? (1981), Essais sur le politique : XIXe-XXe siècles, Paris, Seuil, 1986, p. 295.
[3] Muhlmann G., L’Imposture du théologico-politique, Paris, Les Belles Lettres, 2022, p. 116.
[4] Cf. Lacan J., Il seminario, libro VI, Il Desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], a cura di Antonio Di Ciaccia, Einaudi, Torino, p. 329. « è questo il grande segreto della psicoanalisi. Il grande segreto è che non c’è Altro ».
Traduzione : Laura Pacati
Revisione : Massimo Grassano
Immagine : © Fabien de Cugnac