Nel 2015, per i suoi primi passi in teatro, Arnaud Desplechin mette in scena Padre[1], ispirato ad un’opera teatrale omonima di August Strindberg[2]. Scritta alla fine del XIX secolo, questo spettacolo denuncia l’ipocrisia della società patriarcale dell’epoca e ne rivela la causa.
Padre mette in scena una coppia di borghesi, un capitano e sua moglie, che si tormentano riguardo al futuro della loro figlia. Il capitano vuole che vada a studiare in città per diventare istitutrice, sua moglie si oppone affinchè sia un’artista.
A. Strindberg descrive un capitano che identifica la paternità con la sua funzione generativa, e ne intravede le drammatiche conseguenze. Davanti a uno dei suoi uomini accusato di aver abusato della debolezza di una donna e di averla messa incinta, accetta l’antica espressione : Mater semper certa est, Pater est semper incertus. Scioccata da questa frase che lascia una madre e suo figlio senza padre, sua moglie denuncia l’ingiustizia della società patriarcale. Se niente e nessuno può dire con certezza chi sia il padre di un bambino, « Come può il padre avere tanto diritto sul figlio ? »[3], si ribella.
Di fronte a un marito che non vuole che si tocchino i suoi diritti inalienabili, Laura capovolge la logica del marito contro se stesso. Mentre lui pensa che nel matrimonio « nessun dubbio è possibile sulla paternità »[4], lei gli dice che non sa se lui è il padre di Bertha. In fine da logica, aggiunge : « [ciò] che nessuno sa, neppure tu puoi saperlo »[5]. Da quel momento, introduce il dubbio nella mente del marito, il cui universo mentale sprofonda nella follia. Tutti gli mentono e niente può più garantire che una parola non sia ingannevole[6]. Gli diventa impossibile seguire il consiglio che il suo medico gli ricorda – consiglio che quest’ultimo crede di reperire da Goethe : « si devono accettare i propri figli sulla fiducia »[7].
L’essere del capitano crolla. Informandolo che forse non è il padre di sua figlia, « è arrivato qualcuno armato di coltello » e gli ha « tagliato »[8] la metà di se stesso. Per il capitano, il senso della vita e la verità a cui aderisce svaniscono. Non intravede altra scelta che morire e uccidere sua figlia. Interrogando la nozione di padre, A. Strindberg svela dietro una figura del patriarcato, quella di Saturno che divora i propri figli, perché gli si predice che sarà divorato da loro. Infatti, Padre si apre sulla fantasia del capitano di essere in una gabbia, circondato da donne che, come delle belve, sognano di sbranarlo voracemente. La rappresentazione teatrale si chiude con un passaggio all’atto, accompagnato dall’idea morbosa di essere un orco che vuole divorare sua figlia[9]. « Divorare o essere divorati »[10] è il rovescio del patriarcato secondo A. Strindberg.
Riferimenti bibliografici dell’autore.
[1] Desplechin A., Père, Opera teatrale, Comédie française/France culture, 2015. Disponibile su internet.
[2] Strindberg A., Père, Paris, L’arche, 1997.
[3] Ibid., p. 21.
[4] Ibid.
[5] Ibid., p. 39.
[6] Cf. Lacan J., Il Seminario, libro III, Le Psicosi, a cura di J.-A Miller e A. Di Ciaccia, 2010, p. 74-77.
[7] Strindberg A., Père, op. cit., p. 53.
[8] Ibid., p. 79.
[9] Ibid., p. 81.
[10] Ibid.
Traduzione : Francesca Carmignani
Revisione : Elena Madera
Immagine : © Art et Marge collectif